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Le vecchie segherie del Comelico

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LE NOSTRE VECCHIE SEGHERIE

Dopo aver raccontato come si procedeva al taglio e all’allestimento delle piante dei nostri boschi nei primi decenni del Novecento, non posso esimermi dal descrivere quanto di mia conoscenza anche sulla prima lavorazione dei tronchi  (tàie) con la trasformazione in tavole (brèie) nella metà del secolo scorso.

Le prime segherie ( veneziane) funzionavano ad energia idraulica, quindi erano sorte  in prossimità dei corsi d’ acqua, parte della quale veniva deviata e incanalata in  una roggia ( rèia) generalmente costruita con tavole di larice.

L’ acqua giungeva così per caduta a una ruota di legno ( roda ) che era posta all’ esterno dalla segheria e colpendo le pale ne imprimeva il movimento rotatorio.

La ruota idraulica era collegata con un asse a delle pulegge e da queste con una cinghia ( zanturon ) di cuoio ad un volano munito di  biella.

Questi meccanismi si trovavano all’ interno della segheria e avevano il compito di  trasformare il moto circolare   ( impresso dalla caduta dell’ acqua ) in un movimento verticale alternativo del telaio al quale era fissata la lama dentata della sega.

Quindi, dalla tàia saldamente ancorata  al cèr ( carro ), spinto dalla forza della ruota d’avanzamento ( cagnòl )  lentamente ma inesorabilmente venivano ritagliate dal tronco le assi che in quel momento erano in lavorazione.

La ruota idraulica era generalmente costruita in legno di larice per resistere nel tempo alla condizioni usuranti del contatto continuo con l’ acqua.

Nel corso degli anni con lo sviluppo e il potenziamento delle centrali per la  produzione di energia idroelettrica e con la posa delle linee ad alta tensione anche le segherie ( munite di cabina elettrica con trasformatore ) si ammodernarono e dotandosi di potenti motori elettrici fecero a meno della forza dell’ acqua.

Inoltre, la nuova forza motrice consentiva  maggiore comodità ed efficienza e gli stabilimenti poterono essere allocati anche in luoghi lontani da torrenti o fiumi.

Terminata la seconda guerra mondiale in tutto il Cadore si sviluppò per alcuni anni un fiorente commercio del legname con segherie anche di grandi dimensioni in Comelico,  Auronzo, Cima Gogna, Lozzo, Calalzo, Tai e in tutta la Val Boite.

Le tavole venivano spedite ai magazzini di pianura oltre che con i camions e rimorchi con i treni merci che partivano dalla stazione di Calalzo dove c’era un apposito binario riservato al carico del tavolame sui vagoni ferroviari.

In quell’ epoca, specialmente in Comelico  si sviluppò considerevolmente il taglio ed commercio dei  tondini,  ( tondelli ) ovvero stanghe di abete rosso del diametro di circa dieci cm. sezionate ad un metro di lunghezza.

Ai tondelli veniva tolta  la corteccia con il  fero da sblà tondini in quanto erano  venduti alle cartiere come materia prima per la  produzione della carta.

C’era anche  la produzione di travi che servivano per la costruzione dei tetti delle case, questa lavorazione era fatta con la manera da squarà, ovvero  una larga e pesante ascia il grado di squadrare ( cioè di dare la forma quadrata ) alle travature per tutta la loro lunghezza, asportando  una o più  stele ( falde di legno ) dallo spessore consistente.

Prima si tracciava con l’ ausilio di un filo tinto di rosso la linea da seguire nella squadratura del tronco, poi si procedeva con la manera al taglio vero e proprio.

In quel periodo le seghe erano principalmente di tipo Veneziana, cioè si tagliava una tavola alla volta e si producevano circa 5 mc. al giorno.

C’era anche la possibilità di dotare la sega di due lame, in questo caso la produzione aumentava a 7 mc. giornalieri anche se lo spessore del secondo taglio era per forza di cose non modificabile .

Nelle segherie più grandi  si usava il Gatter o Vollgatter ( sega multilame ) che con un’ unica “passata” trasformava in tavole tutto il tronco, in questo caso la produzione giornaliera saliva a 12 mc.

Infine c’era  la Brenta,  una sega a nastro molto veloce che consentiva di innalzare la produzione giornaliera a 25 mc.

I tronchi erano accatastati nel piazzale esterno della segheria e venivano caricati a mano su un carrello che correndo su dei binari arrivava fino al banco della sega.

Per prima cosa la tàia ( tronco ) veniva intestata ( cioè si portava la lunghezza del tronco a 4 metri lineari ) producendo con tale operazione i zuce (zocchi ) che sarebbero stati poi stati adoperati come legna da ardere.

Poi il tronco veniva trasferito sul carro della sega e si iniziava la segagione, per prima cosa veniva ritagliato al scòrz  e al sotescòrz ( parti esterne del tronco ) sottoprodotti di lavorazione  molto richiesti per la costruzione di  ciàdure (steccati ) di orti, campi ecc., oppure per tamponamenti di pareti dei tabiés e barchés (fienili e baracche).

Poi si iniziava a ricavare le tavole il cui spessore era affidato all’esperienza e all’  abilità di valutazione del  segát, ( segantino ), il quale decideva in base alla qualità e al diametro del tronco in quel momento in lavorazione, oppure in base agli accordi commerciali presi per un determinato lotto di legname.

Una volta segata,  la tavola doveva essere refilata ( cioè ritagliati i bordi esterni per tutta la sua lunghezza) così da darle  un profilo rettangolare e non conico, perchè  molti tronchi presentano significative differenze di diametro da un’ estremità all’ altra. ( Rastrematura ).

Questa operazione si effettuava con la circolar  ( sega circolare ) e si ricavavano i rigögn o sfile ( rifilature ) che una volta legate assieme con del filo di ferro formavano delle fascine che venivano vendute a peso.

Naturalmente la segagione dei tronchi produceva della segatura, (sciàtize) che era richiesta dagli allevatori di bestiame e impiegata come lettiera nelle stalle, oppure serviva come combustibile per il riscaldamento di locali dotati di apposite stufe.

Le tavole finite dovevano essere assortite ed accatastate in monte (catasta ) oppure su delle cavariade ( capriate ) per completare l’essiccazione per poi essere vendute in base alla loro qualità e dimensione  ( tavole-ponti-sottomisure-bottolame-cortame ecc. ).

L’ assortimento commerciale del tavolame era ed è previsto da apposito capitolato   degli usi della CCIAA di Belluno in: primo netto ( tavole perfette senza nessun nodo o difetto ) primo, secondo, terzo, terzo andante, quarto.

Oppure, per determinate partite poteva esserci la vendita a < tombante >, ovvero lo stesso prezzo per tutta la merce acquistata.

Allora non c’erano i muletti e le tavole dovevano essere spostate da un posto all’ altro, accatastate e una volta essiccate e vendute caricate sul camion sempre a spalla.

Questi  i miei ricordi delle segherie e   il loro funzionamento negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso.

Concludo auspicando che tutti noi cadorini, con in testa i Comuni e le Regole, possiamo quanto prima fare una  riflessione sulla politica  attuata fino ad ora sia nella prima lavorazione che nel commercio del legname resinoso delle nostre vallate.

Basterebbe guardare ai  territori a noi vicini ( Pusteria -Austria -Provincia di Trento) dove la lavorazione del legno si è evoluta ed ha fatto dei progressi enormi sia nella segagione dei tronchi  che nel  commercio del prodotto finito.

Lì ci sono delle segherie in grado di tagliare centinai di mc. di tronchi in una giornata, si fabbricano i travi lamellari e si  producono case di abitazione in legno ignifugo e altro ancora.

Noi, viceversa, non abbiamo voluto o saputo svilupparci in questo settore e già da qualche anno vendiamo il legname in tondo a ditte che lo fanno segare proprio in Austria.

Una volta lavorato, il tavolame, le travature ecc. vengono  rivenduti sul mercato italiano.

Personalmente ritengo che siamo ancora in tempo per invertire la rotta se crediamo nelle qualità e potenzialità dei nostri boschi.

Ovviamente ci vogliono iniziative a partecipazione consortile e/o cooperativistico a livello comprensoriale, ben dirette e gestite per creare nuovo lavoro e ricchezza in loco.

 

Gian Antonio Casanova Fuga

 

P.S .– I termini dialettali sono nella parlata di San Pietro di Cadore-